L'imprenditore agricolo non fallisce se commercializza prodotti in misura non prevalente


  • La Cassazione ritiene necessario fare una verifica di natura economico-patrimoniale

    Non fallibile l’imprenditore agricolo anche se esercita attività commerciali ma in misura non prevalente rispetto alla produzione agricola. La Cassazione ribalta un indirizzo della giurisprudenza di merito che sosteneva, al contrario, la fallibilità di un produttore agricolo anche con un minimo di attività di compravendita.

    Così l’ordinanza n. 2153/2023, notificata in il 24/01/2023, con la quale la Cassazione ha annullato, con rinvio, la sentenza con la quale la Corte di Appello di Firenze aveva confermato il fallimento di ditta individuale esercente attività vivaistica.

    Si ricorda, innanzitutto, che il legislatore ha dettato una serie di requisiti generali ai fini della dichiarazione di fallimento e, in particolare, ha disposto che a tale procedura sono soggetti gli imprenditori commerciali di natura privata, "non piccoli", purché ricorrano gli specifici presupposti oggettivi stabiliti dalla legge; la disciplina è contenuta principalmente agli articoli 1 e 5 del rd 267/1942.

    Si ricorda, inoltre, che possono essere dichiarati falliti gli imprenditori "che esercitano un'attività commerciale", con esclusione degli enti pubblici (comma 1, art. 1 del rd 267/1942, così come sostituito dal comma 1, dell’art. 1 del d.lgs. 12/09/2007 n. 169, che ha espunto ogni riferimento al "piccolo imprenditore").

    La Cassazione ha precisato che la sottrazione dell'impresa agricola alle norme sul fallimento non è di ostacolo all'applicabilità dell'art. 1 del rd 267/1942, che dichiara soggetta alle norme in materia di fallimento l'impresa commerciale, nonostante che l'impresa medesima svolga contemporaneamente anche un'attività di natura agricola.

    La giurisprudenza di legittimità ha fornito le proprie indicazioni, molto spesso dissonanti anche per tipologie pressocché identiche e più di recente la Cassazione ha affermato che può essere dichiarata fallita la società costituita per l'esercizio di un'attività agricola che abbia svolto anche attività commerciale in misura prevalente rispetto all'attività agricola, nonostante l'iscrizione nel registro delle imprese sia avvenuta con la qualifica di impresa agricola, poiché il dato formale non impedisce l'accertamento in concreto dello svolgimento di un'attività commerciale, ai fini dell'applicazione della disciplina sulle procedure concorsuali e sebbene l'attività commerciale risulti cessata al momento in cui venga presentata la richiesta per la dichiarazione di fallimento (Cassazione, sentenze n. 28984/2019, n. 5342/2019 e n. 12215/2012 e Tribunale di Pescara, sentenza 4/102018).

    Gli indirizzi più recenti portavano, quindi, alla fallibilità dell’imprenditore agricolo perché, come affermato ai fini dell'esenzione dal fallimento di un'impresa, non risulta rilevante l'attività agricola effettivamente esercitata in quanto le società, in particolare, acquistano la qualità di imprenditore commerciale dal momento della loro costituzione, in considerazione di quanto previsto nello statuto, diversamente dall'imprenditore commerciale individuale, che assume la qualifica solo in conseguenza dell'esercizio effettivo dell'attività (Cassazione, sentenza n. 23157/2018) oppure semplicemente perché l'esenzione dal fallimento dell'impresa societaria agricola viene meno quando quest'ultima, pure trovandosi in stato di liquidazione, assume un nuovo rischio d'impresa esercitando un'attività tipicamente ausiliaria ai sensi dell'art. 2195, comma 1, c.c.; nella fattispecie la Suprema Corte ha confermato la dichiarazione di fallimento di una società semplice agricola che, dopo aver ceduto a terzi i terreni su cui esercitava l'attività produttiva, quando era stata ormai posta in liquidazione, aveva intrapreso l'attività commerciale di compravendita di piante (Cassazione, sentenza n. 28984/2019).

    Con l’ordinanza in commento (n. 2153/2023), i giudici con l’ermellino hanno ribaltato le precedenti sentenze di merito affermando che, parallelamente all’attività agricola (vivaistica), non vi è una consistente attività commerciale, tenendo conto anche dei contenuti di un verbale di accertamento dell’Agenzia delle entrate e che non risulta corretto il criterio della corte fiorentina di dichiarare il fallimento dell’imprenditore agricolo, di cui all’art. 2135 c.c., nel caso in cui l’incidenza dell’attività commerciale non connessa (nella fattispecie pari all’11% del fatturato complessivo), risulti di minima entità; per la Suprema Corte, tra l’altro, il rapporto di prevalenza si risolve in un giudizio comparativo di valenza economico-patrimoniale, nel rispetto del principio che i prodotti ottenuti devono essere ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo. Fabrizio Giovanni Poggiani - ITALIA OGGI (riproduzione riservata)


    Pistoia