Per l’acconto relativo al secondo periodo d’imposta (2025), del biennio definito (2024/2025), in caso di adesione al concordato preventivo biennale (CPB) non è dovuta la maggiorazione del 10% (e del 3% per l’IRAP), applicabile soltanto all’acconto dovuto sul primo periodo d’imposta (in tal caso, per il 2024).
Il cambio di codice ATECO nel 2024, inoltre, non provoca la cessazione dell’accordo con il Fisco, anche nel caso in cui il contribuente sia obbligato ad applicare un diverso Isa, in quanto non si configura una modifica sostanziale dell’attività esercitata.
L’Agenzia delle entrate ha fornito due importanti chiarimenti (FAQ) sul tema del concordato preventivo biennale (CPB), di cui al d.lgs. 13/2024, sul tema della determinazione degli acconti e della modifica del codice di attività (ATECO), anche in relazione a quanto evidenziato da ASSOSOFTWORE.
Il primo quesito riguardava, pertanto, il comma 1 dell’art. 20 del decreto istitutivo con il quale si dispone che “l'acconto delle imposte sui redditi e dell'imposta regionale sulle attività produttive relativo ai periodi d'imposta oggetto del concordato è determinato secondo le regole ordinarie tenendo conto dei redditi e del valore della produzione netta concordati”.
Quindi, in relazione alla prima scadenza del versamento delle imposte dirette e dell’Irap in caso di adesione al concordato preventivo biennale (quindi, saldo del 2024 e primo acconto del 2025), attualmente fissata al prossimo 30 giugno, l’Agenzia delle Entrate (FAQ del 28 maggio 2025) ha precisato che, stante il dettato letterale della disposizione richiamata, in caso di adesione al patto per il biennio 2024-2025, l’acconto per il secondo periodo di imposta (2025), se determinato utilizzando il metodo storico, deve essere quantificato facendo esclusivamente riferimento alle imposte dirette e al tributo regionale dovute per il periodo d’imposta 2024; non si deve tenere conto, inoltre, ai fini del detto calcolo, della parte di reddito concordato assoggettata a imposta sostitutiva, la quale non partecipa alla determinazione della base imponibile delle imposte dirette.
L’indicazione, quindi, si allinea a quanto indicato nelle istruzioni dei modelli Redditi 2025, che non introducono particolari indicazioni ai fini del calcolo dell’acconto 2025, in presenza di adesione al patto 2024-2025, con la conseguenza che, in caso di applicazione del metodo storico, l’acconto deve essere determinato sulla base del quadro “RN”, come avvenuto nel passato e, quindi, trattandosi di un acconto relativo al secondo periodo (2025) di vigenza del patto, non si rende applicabile la maggiorazione del 10% che resta chiaramente dovuta solo per il primo anno di applicazione, come da disposizioni richiamate.
Per i contribuenti, invece, che aderiscono al concordato per il biennio 2025/2026, in caso di utilizzo del metodo storico, è necessario rispettare i contenuti del comma 2 dell’art. 20 del d.lgs. 13/2024, con la conseguenza che l’acconto deve essere determinato utilizzando il reddito ordinario, e non concordato, riferibile al 2024, applicando, in tal caso, anche la maggiorazione, in sede di versamento della seconda rata di acconto.
Con una seconda risposta, fornita sempre nella medesima data, l’Agenzia delle Entrate esclude l’emersione della causa di cessazione del concordato preventivo, di cui alla lett. a) comma 1 dell’art. 21 del dlgs 13/2024, in relazione alle novità introdotte con la nuova classificazione ATECO 2025.
Si ricorda, infatti, che le disposizioni richiamate prevedono la cessazione dell’accordo nel caso in cui il contribuente modifichi l’attività svolta nel corso del biennio per cui aderisce al patto con il Fisco, rispetto a quella esercitata nel periodo d’imposta precedente il biennio di adesione, fatto salvo il caso in cui la nuova attività rientri nel campo di applicazione del medesimo indicatore di affidabilità fiscale (ISA).
A tal fine, con la risposta richiamata, l’Agenzia delle Entrate precisa, innanzitutto, che la modifica del codice ATECO, in linea di principio, non provoca automaticamente la cessazione del concordato preventivo, sempre che il contribuente continui ad applicare il medesimo Isa ma conferma anche che la cessazione dell’accordo non si verifica nemmeno nel caso in cui, per effetto dell’applicazione della nuova classificazione (ATECO 2025), il contribuente sia obbligato, di conseguenza, ad applicare un Isa diverso, giacché la detta variazione non si riferisce a una modifica sostanziale dell’attività esercitata, con la conseguente carenza del presupposto introdotto ai fini dell’innesco della causa di cessazione. Fabrizio Giovanni Poggiani - ITALIA OGGI (riproduzione riservata)
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