Manipolazione delle piante sempre a tassazione fondiaria


  • Prova diabolica per la dimostrazione della lavorazione

    Manipolazione delle piante anche acquistate da terzi sempre a tassazione fondiaria. Permane il problema della prova “diabolica”, richiesta dagli uffici territoriali delle Entrate, con la quale il produttore agricolo è chiamato a dimostrare l’esecuzione della detta lavorazione.
    Con la risoluzione dello scorso 29 gennaio, la n. 11/E, l’Agenzia delle entrate ha ufficializzato una consulenza giuridica datata (954-72/2014), fornendo specifiche delucidazioni, in merito alla tassazione diretta delle attività vivaistiche, con particolare riferimento alla tassazione fondiaria dei vegetali acquistati da terzi e manipolati.
    Si ricorda, innanzitutto, che l’articolo 1, d.lgs. 228/2001 ha novellato l’art. 2135 c.c. confermando l’inquadramento agricolo per le attività di coltivazione del fondo, silvicoltura e allevamento di animali, sostituendo il vecchio concetto di “normalità”, con il nuovo principio di “prevalenza”, per le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti agricoli.
    La “prevalenza” è stabilita in termini quantitativi (circ. 44/E/2004), mentre il comma 6, dell’art. 2, della legge 350/2003 (Finanziaria 2004) ha modificato l’articolo 32, dpr 917/1986, con particolare riferimento alle “attività connesse”, disponendo che le attività, di cui al comma 3, dell’art. 2135 c.c., con riferimento ai beni individuati da apposito decreto biennale del Ministro dell’economia e delle finanze (Mef), su proposta del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf), rientrano nel reddito agrario e sono, di conseguenza, tassate su valori catastali.
    Il concetto espresso dal citato comma 3, dell’art. 2135 c.c., è di fondamentale importanza per comprendere che il produttore agricolo può essere anche colui che, al fianco dell’attività di coltivazione del fondo e di riproduzione di piante ornamentali, effettua anche la “manipolazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione” di prodotti acquistati da terzi, nel rispetto della cosiddetta “prevalenza”.
    Alla stessa stregua, grazie all’ampliamento (civilistico e fiscale) eseguito dal legislatore, come confermato dall’Agenzia delle entrate (circ. 44/E/2004), se le piante subiscono all’interno del vivaio un processo produttivo, con lo sviluppo di un ciclo biologico o una parte consistente di esso, oppure un’attività di manipolazione e/o di valorizzazione (per esempio, un nuovo invasamento, una potatura, una nuova concimazione e quant’altro), a prescindere dal volume d’affari realizzato, dall’organizzazione utilizzata, dal momento di esecuzione e dall’utile effettivamente realizzato, il reddito deve essere considerato di “natura agraria”.
    L’articolo 32, dpr 917/1986, attualmente vigente, oltre alle attività “tipicamente” agricole, come la coltivazione del fondo, la silvicoltura e l’allevamento di animali, riconduce nell’ambito agricolo, purché non “prevalenti”, e se individuate in un apposito decreto biennale del Mef, di concerto con quello delle politiche agricole, determinate attività “connesse”, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti, ancorché non esercitate sui terreni; tra le attività ricondotte nell’alveo del reddito agrario, sono state individuate quelle di “manipolazione dei prodotti derivanti dalle coltivazioni di cui alle classi 01.11, 01.12 e 01.13” di piante ornamentali e vegetali (si vedano i dd.mm. 11/07/2007, 5/08/2010, 17/06/2011 e 13/02/2015).
    L’Agenzia delle entrate (circ. 44/E/2002) ha anche precisato che gli acquisti di prodotti agricoli presso terzi sono ammessi se effettuati da imprenditori agricoli “al fine di migliorare la qualità del prodotto finale e aumentare la redditività complessiva dell’impresa agricola”, con la conseguenza che, solo inizialmente, il miglioramento qualitativo del prodotto finale era considerato un carattere necessario per ricondurre i redditi derivanti dall’attività agricola connessa al regime dei redditi agrari, di cui alla lett. c), comma 2, dell’art. 32 del Tuir ma con un documento di prassi successivo (circ. 44/E/2004) è stata ammessa, ai fini dell’applicazione del regime dei redditi agrari, la possibilità di eseguire acquisti, nel rispetto del criterio della prevalenza dei prodotti propri, rispetto a quelli acquistati da terzi, al fine di aumentare la quantità del prodotto trattato senza che intervenga, a seguito dell’immissione nel processo produttivo del prodotto di terzi, una variazione significativa nella qualità del prodotto.
    Ma vi è di più, poiché è la stessa agenzia che, nella medesima circolare, ha ammesso che si possono effettuare “acquisti” di prodotti agricoli presso imprese terze per “un miglioramento della gamma di beni complessivamente offerti dall’impresa agricola”, vale a dire beni della stessa tipologia di quelli propri anche se non omogenei.
    La risoluzione 11/E/2018 in commento richiama, peraltro e interamente, i contenuti di una datata consulenza giuridica (n. 954-72/2014), con la quale la stessa agenzia ha ricondotto nell’ambito delle attività di manipolazione, produttive di reddito agrario, sebbene non svolte sul terreno, le attività di concimazione e di inserimento all’interno del terriccio di ritentori idrici, al fine di garantire la self-life del prodotto, sia durante il trasporto che durante la fase di permanenza delle stesse presso il cliente, il trattamento delle zolle, al fine di eliminare gli insetti nocivi all’apparato radicale e le altre attività, come la potatura, la steccatura e la rinvasatura; sul punto, il Mipaaf, nel parere consegnato alle Entrate, ha evidenziato che “le attività sopra indicate (…) hanno carattere di effettiva manipolazione in quanto fanno parte di un più ampio insieme di operazioni di manipolazione atte a garantire la qualità del prodotto finale e che le stesse rientrano nelle pratiche agronomiche finalizzate alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico delle piante”, essendo “necessarie e determinanti a garantire alle piante l’attecchimento ed il mantenimento delle buone condizioni delle essenze vegetali” e “specializzate ed atte a garantire, non soltanto la qualità del prodotto finale, ma anche il soddisfacimento degli standard qualitativi” e ancora “determinanti per fornire un concreto valore aggiunto al prodotto finale”.
    Tale interpretazione si aggiunge a un precedente, quanto datato, intervento (circ. 351690/1955) con il quale si connotano i confini della manipolazione nell’ambito delle attività che interessano un prodotto che, nonostante la lavorazione, “mantiene le caratteristiche merceologiche originarie”; si pensi, inoltre, che soltanto la “cernita” (mera selezione dei vegetali) è stata definita, in tale interpretazione, come attività di “manipolazione” (Ctr Palermo - Catania, sentenza 3264/2014) e che una completa analisi, sull’attività di manipolazione, è stata eseguita nell’ambito di un contenzioso anche da alcuni giudici aditi (Ctp Pistoia, sentenza 327/16/2016).
    Fino a qui tutto molto bello, ma gli uffici periferici delle Entrate, richiamando una sentenza della Suprema Corte (Cassazione, sentenza 14879/2007), peraltro inconferente e concernente la disapplicazione del regime Iva speciale, in una diversa quanto palese situazione di attività agricola simulata (comodato inesistente, titolare dipendente full time presso altra azienda e quant’altro), ribaltano l’onere probatorio sul vivaista, richiedendo una impossibile quanto diabolica prova di esecuzione delle attività indicate di manipolazione e disinteressandosi del fatto che gli agricoltori sono obbligati alla sola tenuta dei registri Iva e che, per la particolarità del prodotto, non possono dimostrare “documentalmente” un’attività di manipolazione che, come confermato dal Mipaaf, non solo è necessaria per ottenere gli standard qualitativi ma è necessaria, più spesso di quanto si pensi, per la stessa sopravvivenza del vegetale. ITALIA OGGI - Fabrizio G. Poggiani (riproduzione riservata)
     


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